IL TRIBUNALE
    Ha   pronunciato   la   seguente  ordinanza  sulla  richiesta  del
 commissario giudiziale della procedura di concordato  preventivo  con
 cessione  di  beni  cui  e'  stata ammessa la ditta Inteltrade S.a.s.
 presentata in data 17 marzo 1993;
   Premesso che con la citata richiesta il dott. F. Parise,  chiede  a
 questo  tribunale  la  liquidazione  del  compenso per l'opera svolta
 quale commissario giudiziale della procedura di concordato preventivo
 della  ditta  Inteltrade  S.a.s.,  relativamente  alla   fase   della
 procedura fino all'omologa, avvenuta con sentenza del 10 luglio 1992,
 ai  sensi  del  primo  comma  dell'art. 5 del decreto del Ministro di
 grazia e giustizia 28 luglio 1992, n. 570, pubblicato sulla  Gazzetta
 Ufficiale del 6 marzo 1993 ed entrato in vigore il giorno successivo,
 riservandosi  di  chiedere  in  prosieguo  il  compenso  per  l'opera
 successiva all'omologa, ai sensi del secondo comma dello stesso  art.
 5;
    Ritenuto  che  la predetta richiesta e' conforme alle disposizioni
 citate; invero l'art. 5 del d.m. n. 570/1992, dopo l'attribuzione  al
 commissario   preposto  al  concordato  preventivo  di  un  compenso,
 determinato  con   le   percentuali   dell'art.   1,   sull'ammontare
 dell'attivo e del passivo risultanti dall'inventario redatto ai sensi
 dell'art.  172  della  legge  fall., prevede al secondo comma che "al
 commissario giudiziale spettano i compensi anche per l'opera prestata
 successivamente   all'omologazione   del    concordato    preventivo,
 determinati  secondo  quanto  previsto  al  primo comma ovvero con le
 percentuali di cui all'art. 1  sull'attivo  della  liquidazione,  nei
 casi di cessione dei beni previsti dall'art. 182 del regio decreto n.
 267/1942";
      che, pertanto, e' indiscutibile che, in forza di tale normativa,
 al  commissario  giudiziale  preposto  ad una procedura di concordato
 preventivo competono due compensi: uno per l'attivita' prestata  fino
 alla  omologazione del concordato ed un altro per la fase successiva,
 per cui appare legittima la pretesa del commissario dott. Parise  che
 gli  sia  liquidato il compenso per l'opera espletata fino al momento
 dell'omologa;
      che la recente normativa regolamentare, se ha avuto il pregio di
 risolvere il discusso (in dottrina) problema circa il momento in  cui
 la  liquidazione  del  compenso  debba  essere  fatta  (e' chiaro che
 essendo, ora, previsti un compenso fino all'omologa ed un  altro  per
 l'attivita'  successiva,  il  primo  debba  essere  liquidato dopo il
 passaggio in giudicato della sentenza di omologa e  il  secondo  dopo
 l'accertamento  dell'avvenuta  esecuzione  del  concordato), crea una
 disparita' di trattamento retributivo con il curatore fallimentare  e
 tra  commissari  stessi,  a  seconda  che si tratti di concordato con
 garanzia o con cessione di beni, tale da giustificare il rinvio  alla
 Corte  costituzionale  perche'  esamini  la  conformita'  al  dettato
 costituzionale (art. 3) del combinato disposto degli artt. 165  e  39
 della  legge  fall.  nella  parte in cui prevedono che il compenso al
 commissario  giudiziale  preposto  al   concordato   preventivo   sia
 liquidato "secondo le norme stabilite con decreto del Ministro per la
 grazia e giustizia". Con tale rinvio, infatti, le citate norme legis-
 lative demandano all'organo amministrativo di fissare i parametri per
 la  determinazione  del compenso spettante al commissario giudiziale,
 sicche' l'atto del Ministro, diventando parte integrante del  tessuto
 legislativo  che  lo  recepisce  aprioristicamente, acquista forza di
 legge, con  conseguenziale  possibilita'  di  censura  da  parte  del
 giudice  delle  leggi.  Del  resto,  se cosi' non fosse, il tribunale
 potrebbe disapplicare  direttamente  la  disposizione  contenuta  nel
 decreto,  ma,  in  tal  caso,  gli  artt. 39 e 165 legge fallimentare
 resterebbero privi di contenuto e si attribuirebbe  al  giudice  quel
 potere  integrativo  che  la  normativa  fallimentare ha riservato al
 Ministro;
    Rilevato che la disparita' di trattamento tra il  compenso  dovuto
 al  curatore  fallimentare  e  quelli  previsti  per  il  commissario
 giudiziale, secondo i criteri di determinazione contenuti nel recente
 decreto del 1992, emerge dalle seguenti considerazioni:
       a) nel concordato preventivo, fino all'omologazione l'opera del
 commissario giudiziale e' ridotta ad una mera attivita'  (penetrante,
 attenta,  qualificata  ma  pur  sempre)  di  controllo sulla gestione
 dell'attivita' del debitore, nel mentre il curatore  fallimentare  ha
 la  gestione  del  patrimonio  del  debitore fallito (che, appunto, a
 differenza  di  quello  concordatario,  perde  la  disponibilita'   e
 l'amministrazione  dei suoi beni), con tutte le conseguenze in ordine
 all'impegno che tale gestione comporta. Eppure per il curatore  viene
 previsto  un  compenso  determinato  secondo  percentuali sull'attivo
 realizzato  e sull'ammontare del passivo del fallimento (art. 1), nel
 mentre per il commissario e' previsto un compenso determinato secondo
 le stesse percentuali, ma sull'ammontare dell'attivo  e  del  passivo
 risultanti dall'inventario redatto ai sensi dell'art. 172 della legge
 fallimentare (art. 5, primo comma).
    E  si  capisce agevolmente come non sia di poco conto porre a base
 del calcolo l'attivo effettivamente realizzato o quello inventariato,
 tanto piu' che  e'  ancora  discusso  se  nell'ammontare  dell'attivo
 realizzato  si debba tener conto di quanto ricavato dalla vendita dei
 beni ipotecati o dati in pegno o dalla vendita in sede di  esecuzione
 individuale  iniziata  prima  del  fallimento.  Per  quanto  attiene,
 invece, al passivo, il raffronto potrebbe essere piu'  favorevole  al
 curatore  in  quanto il passivo posto a base del calcolo per l'organo
 fallimentare e' quello definitivo  risultante  dallo  stato  passivo,
 come  modificato  con  le  insinuazioni tardive opposizioni ecc., nel
 mentre quello  accertato  dal  commissario  nella  relazione  di  cui
 all'art.  172  della  legge  fallimentare  (cui evidentemente intende
 riferirsi il decreto ministeriale parlando impropriamente di  passivo
 inventariato),  e'  determinato  all'inizio  della  procedura  ed  ha
 carattere provvisorio, per cui  e'  suscettibile,  come  l'esperienza
 insegna,  di  modifiche  (per  lo  piu')  peggiorative sia in sede di
 votazione,  ove   il   giudice   delegato   puo'   ammettere   ancora
 provvisoriamente  i  crediti  contestati, sia in prosieguo; tuttavia,
 considerato  che  le  percentuali  sull'attivo  sono  di  gran  lunga
 superiori  a  quelle  sul  passivo,  si vede come il maggior compenso
 derivante  al  curatore  dal  calcolo  sul  passivo  non   valga   ad
 equilibrare   lo   svantaggio   derivante   dal  calcolo  sull'attivo
 realizzato,  piuttosto  che  su  quello   inventariato.   Un   giusto
 equilibrio  sembrava  essere stato raggiunto sul punto con il d.m. 17
 aprile 1987 - ora sostituito dal d.m. 28 luglio 1992 di  cui  si  sta
 trattando  -  che  conteneva  la  stessa disposizione di cui al primo
 comma dell'art. 5, ma aggiungeva che l'ammontare  dell'attivo  e  del
 passivo andavano ridotti della meta'; questa limitazione e' scomparsa
 nel nuovo testo.
    Ne'  e'  di poco conto, in termini economici per l'avente diritto,
 che il curatore possa percepire il suo compenso solo alla fine  della
 procedura dopo l'approvazione del conto della gestione, nel mentre il
 primo  compenso  al  commissario  vada  liquidato  dopo l'omologa del
 concordato, che normalmente interviene entro breve tempo  dall'inizio
 della procedura concordataria;
       b)  si  potrebbe  dire,  se  l'art.  5  si  fermasse  a  questa
 disposizione, che rientra nel potere discrezionale del legislatore  -
 o  dell'organo  da  lui  demandato  -  determinare un compenso per il
 commissario superiore a quello che competerebbe al curatore nel  caso
 lo   stesso   debitore  fosse  stato  dichiarato  fallito,  ma  anche
 l'esercizio del potere discrezionale e' sindacabile dalla Corte, come
 dalla stessa costantemente  affermato,  ove  la  disposizione  avente
 forza di legge travalichi i limiti della ragionevolezza. Orbene, pare
 a   questo   collegio   che  tali  limiti  vengano  superati  con  la
 disposizione di cui al secondo comma dell'art. 5 del  citato  attuale
 d.m.  (che  costituisce  una innovazione, non prevista dal precedente
 del 1987), che come  detto,  attribuisce  un  ulteriore  compenso  al
 commissario  per  la  fase successiva alla liquidazione, determinato,
 nel caso di concordato con cessione di beni - che e'  la  fattispecie
 che  interessa  -  con  le  percentuali di cui all'art. 1 sull'attivo
 della liquidazione; sennonche', la liquidazione dei beni  e'  compito
 del liquidatore e non del commissario, il quale, dopo l'omologa, deve
 solo sorvegliare l'adempimento del concordato (art. 185 legge fall.).
    A  questo  punto,  comparando  l'art.  1 del d.m., che riguarda il
 curatore, con il primo e il secondo comma dell'art.  5  dello  stesso
 d.m.,  che  riguardano  il  commissario,  si ricava che il primo - il
 quale ha la gestione del patrimonio del debitore,  collabora  con  il
 giudice  delegato  alla formazione dello stato passivo, provvede alla
 liquidazione dell'attivo e al riparto tra i creditori - ha diritto ad
 un  unico  compenso   secondo   percentuali   calcolate   sull'attivo
 realizzato  e  sul  passivo  accertato e il secondo - che esercita un
 controllo sulla gestione del debitore fino all'omologa e un controllo
 sull'adempimento del concordato nella  fase  successiva,  ove  e'  il
 liquidatore  a realizzare il valore dei beni ceduti e a ripartirne il
 ricavato - ha diritto a due  compensi:  uno  determinato  secondo  le
 stesse  percentuali  calcolate sull'attivo e sul passivo inventariati
 ed un altro determinato sull'attivo liquidato.
    Ben sa  questo  collegio  che  il  passaggio  in  giudicato  della
 sentenza di omologa segna il momento conclusivo della procedura e che
 da  questo  momento  si  esauriscono  le  funzioni  di  ingerenza del
 commissario, che si trasformano  in  funzioni  di  mera  sorveglianza
 sull'adempimento  del  concordato,  per  cui  la  previsione  di  due
 compensi, uno per ciascuna fase, ha  una  giustificazione  giuridica;
 tuttavia  quello  che  si intende mettere in evidenza non e' tanto la
 duplicita' del compenso quanto l'irragionevolezza dei criteri dettati
 per la determinazione degli stessi, l'applicazione dei quali comporta
 che il commissario giudiziale abbia diritto  complessivamente  ad  un
 compenso  (piu'  o  meno)  doppio rispetto a quello del curatore, pur
 svolgendo un'attivita' sicuramente meno  impegnativa,  sia  sotto  il
 profilo  gestionale  che  procedurale, e, normalmente, di durata piu'
 breve.  In  altre  parole  potrebbe  anche   essere   opportuna   una
 duplicazione  del  compenso al commissario, uno per ciascuna fase, ma
 bisognerebbe dettare dei criteri  di  determinazione  che  evitassero
 l'inconveniente  evidenziato,  facendo  si'  che al commissario venga
 complessivamente attribuita una retribuzione proporzionata al tipo di
 attivita' svolta e che non superi quella che competerebbe al curatore
 qualora lo stesso debitore fosse stato dichiarato fallito;
       c) le percentuali di cui all'art. 1 oscillano tra un  minimo  e
 un  massimo,  tra  i quali il tribunale puo' graduare il compenso del
 curatore "tenendo conto dell'opera prestata, dei risultati  ottenuti,
 dell'importanza  del  fallimento, nonche' della sollecitudine con cui
 sono state condotte le relative operazioni"; questi criteri non  sono
 richiamati  nell'art. 5 (ne' nel primo ne' nel secondo comma), per il
 quale i (due) compensi al commissario  giudiziale  sono  "determinati
 con  le percentuali di cui all'art. 1", sicche' la quantificazione di
 detti  compensi  prescinde  completamente  dai  risultati   ottenuti,
 dall'importanza  della  procedura  ecc. ed e' affidata all'interprete
 una graduazione discrezionale tra l'utilizzazione  delle  percentuali
 al  minimo o al massimo. Sarebbe arduo, infatti, ritenere applicabili
 per analogia al commissario i criteri di cui all'art. 1  dettati  per
 il  curatore  dal momento che l'art. 5, come visto, richiama l'art. 1
 ma solo per quanto riguarda le percentuali ivi indicate.  Peraltro  i
 criteri  dettati  dall'art.  1  non  sempre  sarebbero applicabili al
 commissario;  ad  esempio  il riferimento ai risultati ottenuti - con
 cui  chiaramente  si  intende  adeguare  il  compenso  del   curatore
 all'entita'   della   ripartizione   fatta  ai  creditori  -  non  e'
 utilizzabile nella liquidazione del compenso  dovuto  al  commissario
 fino  all'omologa ne' nella liquidazione del secondo compenso (quello
 dopo l'omologa) perche' il commissario non procede alla  liquidazione
 e  al riparto, per cui, ove se ne tenesse conto, si utilizzerebbero i
 risultati ottenuti dal liquidatore;
       d) disparita' di trattamento ricorre  anche  nel  caso  che  il
 curatore  e  il  commissario  cessino dalle loro funzioni prima della
 chiusura delle operazioni; in ambedue le ipotesi e' previsto  che  il
 compenso  venga  liquidato "tenuto conto dell'opera prestata", con la
 determinante differenza che per il primo vanno utilizzati "i  criteri
 indicati  nell'art.  1"  (art.  2  primo  comma)  e per il secondo "i
 criteri fissati" (art.  5,  quarto  comma).  Cio'  significa  che  il
 curatore,  se  cessa  anticipatamente  dalle sue funzioni, ha diritto
 sempre ad un  unico  compenso  parametrato  all'opera  prestata,  nel
 mentre  se  nelle stesse condizioni si viene a trovare il commissario
 bisogna distinguere se questi cessi dalle sue funzioni prima  o  dopo
 l'omologa. Avendo, infatti, la normativa in esame distinto queste due
 fasi  e  richiamando  l'art.  5,  quarto  comma,  i  criteri  fissati
 evidentemente nei commi precedenti dello stesso articolo,  ne  deriva
 che,  se  l'attivita'  del  commissario cessa dopo l'omologa, egli ha
 diritto al compenso pieno per la prima fase, a norma del primo  comma
 dell'art. 5, e ad un secondo compenso in relazione all'opera prestata
 nella  seconda.  Il  che,  tra  l'altro, crea anche una disparita' di
 trattamento economico a seconda del momento  in  cui  il  commissario
 cessa  dalle sue funzioni, non essendo la determinazione del compenso
 correlata  all'entita'  dell'opera  prestata  nell'arco   dell'intera
 procedura come, invece, accade per il curatore;
       e) nel caso il fallimento si chiuda con concordato, il compenso
 dovuto  al  curatore  e' sempre uno solo ed e' determinato secondo le
 percentuali sull'attivo e sul passivo di cui all'art.  1,  "calcolate
 sull'ammontare  complessivo di quanto col concordato viene attribuito
 ai creditori" (art. 2, secondo comma, del  d.m.);  al  contrario,  al
 commissario  del  concordato preventivo - ove, dopo l'omologa, i suoi
 compiti  sono  simili  a  quelli  del  curatore  dopo  l'omologa  del
 concordato  fallimentare - compete, solo per questa fase, un compenso
 che si  aggiunge  a  quello  per  l'opera  prestata  antecedentemente
 all'omologa.
    Cosicche',  considerato che il termine finale per la presentazione
 della proposta di concordato fallimentare, nel silenzio dell'art. 124
 legge  fallimentare  (che  pone  solo  il   termine   iniziale),   e'
 individuabile nell'emanazione del decreto di chiusura del fallimento,
 il  curatore  potrebbe  aver  svolta  tutta  l'attivita'  gestoria  e
 liquidatoria  fallimentare  e  poi  trovarsi  a  svolgere  quella  di
 sorveglianza   concordataria  percependo  sempre  un  unico  compenso
 calcolato sull'ammontare complessivo di quanto col  concordato  viene
 attribuito  ai  creditori,  nel  mentre, al commissario giudiziale ne
 competono  sempre  due,  calcolati  uno  sull'attivo  e  sul  passivo
 inventariati   e   l'altro   sull'attivo  realizzato.  Ed  e'  facile
 immaginare come nelle stesse condizioni  patrimoniali  -  salvo  casi
 eccezionali di un fallimento con attivo ridotto in cui col concordato
 vengano   pagati   i  creditori  con  alte  percentuali  -  l'importo
 complessivo  del  compenso  spettante  al commissario sia sempre piu'
 elevato di quello liquidabile al curatore;
       f) la disparita'  di  trattamento  retributivo  e'  ancor  piu'
 eclatante se si prende in esame la posizione del commissario preposto
 ad  un  concordato con garanzia, che non interessa il caso di specie,
 ma rileva per evidenziare, da un lato,  la  perversita'  del  sistema
 posto  dall'art.  5  e, dall'altro, una disparita' di trattamento tra
 commissari preposti a diversi tipi di concordato preventivo.  Invero,
 per  la  liquidazione  del compenso al commissario del concordato con
 garanzia sono dettati gli stessi criteri che per il  commissario  del
 concordato con cessione, con l'unica differenza che, per il primo, il
 compenso per la fase successiva all'omologa e' determinato secondo le
 modalita'  di  cui  al comma 1½, cioe' con le percentuali dell'art. 1
 sull'ammontare dell'attivo e del passivo risultanti  dall'inventario.
 Ossia,  in caso di concordato con garanzia, anche il secondo compenso
 va liquidato sull'attivo e sul passivo inventariati  e  non  soltanto
 sull'attivo  della liquidazione come per l'ipotesi del concordato con
 cessione di beni (e non  potrebbe  essere  diversamente  perche'  nel
 concordato  con  garanzia  non  vi  e' una fase liquidatoria); il che
 significa che, nel primo caso, il  compenso  e'  piu'  alto  che  nel
 secondo  (sia  perche'  va  calcolato  sull'attivo e sul passivo, sia
 perche', normalmente, l'attivo liquidato e realizzato e' inferiore  a
 quello preventivato), pur essendo notorio che l'opera di sorveglianza
 sull'adempimento  di  un  concordato con garanzia richiede un impegno
 meno intenso e piu' limitato nel tempo rispetto a quello  necessario,
 non  solo  per  portare a termine la procedura fallimentare, ma anche
 rispetto a quello richiesto per  il  controllo  sull'adempimento  del
 concordato con cessione.
    In  sostanza,  il  sistema  posto dall'art. 5 del d.m. del 1992 e'
 tale  da  creare  delle  ingiustificate  disparita'  di   trattamento
 retributivo  non  solo  tra  il commissario e il curatore, ma tra gli
 stessi commissari, a seconda che siano preposti ad un concordato  con
 garanzia  o  con  cessione  di  beni;  distinzione  quest'ultima  che
 potrebbe anche essere  opportuna  ai  fini  retributivi,  purche'  si
 risolva,  in  considerazione  dell'impegno  richiesto, in un compenso
 piu' vantaggioso per il commissario del secondo e non per quello  del
 primo, come invece accade in applicazione dell'art. 5 in esame.
    Ritenuto,  in conclusione, che l'art. 5 del d.m. 29 luglio 1992 ha
 forza di legge in quanto integra l'art. 165 della legge fallimentare,
 che richiama l'art. 39 della stessa legge;
      che non e' manifestamente infondata la questione di legittimita'
 costituzionale della citata norma per l'ingiustificata disparita'  di
 trattamento  retributivo  che  crea  tra  il  commissario  giudiziale
 preposto al concordato preventivo e il curatore fallimentare, nonche'
 tra gli stessi commissari, a seconda che si tratti di concordato  con
 garanzia o con cessione di beni;
      che  la questione e' rilevante nel presente giudizio camerale di
 liquidazione del compenso richiesto dal  commissario  giudiziale  del
 concordato  preventivo  Inteltrade  S.a.s.  perche'  costui  fonda la
 propria  domanda,  per  l'attivita'  svolta  fino  alla  omologa  del
 concordato  (ed  ha  gia'  preannunciato  la  richiesta  del  secondo
 compenso per la fase successiva, quando sara'), proprio sul  disposto
 del citato art. 5;